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dialogo di f. ruysch e delle sue mummie | 117 |
Morto. Verbigrazia, come tu non ti accorgi mai del momento che tu cominci a dormire, per quanta attenzione ci vogli porre.
Ruysch. Ma l’addormentarsi è cosa naturale.
Morto. E il morire non ti pare naturale? Mostrami un uomo, o una bestia, o una pianta che non muoia.
Ruysch. Non mi maraviglio piú che andiate cantando e parlando, se non vi accorgeste di morire.
Cosí colui, del colpo non accorto,
andava combattendo, ed era morto,
dice un poeta italiano. Io mi pensava che sopra questa faccenda della morte, i vostri pari ne sapessero qualche cosa piú che i vivi. Ma dunque, tornando sul sodo, non sentiste nessun dolore in punto di morte?
Morto. Che dolore ha da essere quello del quale chi lo prova, non se n’accorge?
Ruysch. A ogni modo, tutti si persuadono che il sentimento della morte sia dolorosissimo.
Morto. Quasi che la morte fosse un sentimento, e non piuttosto il contrario.
Ruysch. E tanto quelli che intorno alla natura dell’anima si accostano col parere degli Epicurei, quanto quelli che tengono la sentenza comune, tutti, o la piú parte, concorrono in quello ch’io dico; cioè nel credere che la morte sia per natura propria, e senza nessuna comparazione, un dolore vivissimo.
Morto. Or bene, tu domanderai da nostra parte agli uni e agli altri: se l’uomo non ha facoltá di avvedersi del punto in cui le operazioni vitali, in maggiore o minor parte, gli restano non piú che interrotte, o per sonno o per letargo o per sincope o per qualunque causa; come si avvedrá di quello in cui le medesime operazioni cessano del tutto, e non per poco spazio di tempo, ma in perpetuo? Oltre di ciò, come può essere che un sentimento vivo abbia luogo nella morte? anzi, che la stessa morte sia per propria qualitá un sentimento vivo? Quando la facoltá di sentire è, non solo debilitata e