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mano, cosí per altri rispetti, come perché niuno presume né di possedere alcuna di queste non avendola procacciata, né di poterla procacciare senza studio e fatica. In fine, il poeta e il filosofo non hanno in vita altro frutto del loro ingegno, altro premio dei loro studi, se non forse una gloria nata e contenuta fra un piccolissimo numero di persone. Ed anche questa è una delle molte cose nelle quali si conviene colla poesia la filosofía, «povera» anch’essa «e nuda», come canta il Petrarca35, non solo di ogni altro bene, ma di riverenza e di onore. —

capitolo decimo.

— Non potendo nella conversazione degli uomini godere quasi alcun beneficio della tua gloria, la maggiore utilitá che ne ritrarrai, sará di rivolgerla nell’animo e di compiacertene teco stesso nel silenzio della tua solitudine, con pigliarne stimolo e conforto a nuove fatiche, e fartene fondamento a nuove speranze. Perocché la gloria degli scrittori, non solo, come tutti i beni degli uomini, riesce piú grata da lungi che da vicino, ma non è mai, si può dire, presente a chi la possiede, e non si ritrova in nessun luogo.

Dunque per ultimo ricorrerai coll’immaginativa a quello estremo rifugio e conforto degli animi grandi, che è la posteritá. Nel modo che Cicerone, ricco non di una semplice gloria, né questa volgare e tenue, ma di una moltiplice, e disusata, e quanta ad un sommo antico e romano, tra uomini romani e antichi, era conveniente che pervenisse; nondimeno si volge col desiderio alle generazioni future, dicendo, benché sotto altra persona35: «Pensi tu che io mi fossi potuto indurre a prendere e a sostenere tante fatiche il dí e la notte, in cittá e nel campo, se avessi creduto che la mia gloria non fosse per passare i termini della mia vita? Non era molto piú da eleggere un vivere ozioso e tranquillo, senza alcuna fatica, o sollecitudine? Ma l’animo mio, non so come, quasi levato alto il capo, mirava di continuo alla posteritá in modo come se egli, passato che fosse di vita, allora finalmente fosse per vivere».