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102 | operette morali |
che il numero dei filosofi veri e profondi, fuori dei quali non è chi sappia far convenevole stima degli altri tali, non sia piccolissimo anche nell’etá presente, benché dedita all’amore della filosofia piú che le passate. Lascio le varie fazioni, o comunque si convenga chiamarle, in cui sono divisi oggi, come sempre furono, quelli che fanno professione di filosofare: ciascuna delle quali nega ordinariamente la debita lode e stima a quei delle altre; non solo per volontá, ma per avere l’intelletto occupato da altri princípi. —
capitolo ottavo.
— Se poi (come non è cosa alcuna che io non mi possa promettere di cotesto ingegno) tu salissi col sapere e colla meditazione a tanta altezza che ti fosse dato, come fu a qualche eletto spirito, di scoprire alcuna principalissima veritá, non solo stata prima incognita in ogni tempo, ma rimota al tutto dell’espettazione degli uomini, e al tutto diversa o contraria alle opinioni presenti, anco dei saggi; non pensar di avere a raccôrre in tua vita da questo discoprimento alcuna lode non volgare. Anzi non ti sará data lode, né anche da’ sapienti (eccettuato forse una loro menoma parte), finché ripetute quelle medesime veritá, ora da uno ora da altro, a poco a poco e con lunghezza di tempo, gli uomini vi si assuefacciano prima gli orecchi e poi l’intelletto. Perocché niuna veritá nuova, e del tutto aliena dai giudizi correnti; quando bene, dal primo che se ne avvide, fosse dimostrata con evidenza e certezza conforme o simile alla geometrica; non fu mai potuta, se pure le dimostrazioni non furono materiali, introdurre e stabilire nel mondo subitamente; ma solo in corso di tempo, mediante la consuetudine e l’esempio: assuefacendosi gli uomini al credere come ad ogni altra cosa; anzi credendo generalmente per assuefazione, non per certezza di prove concepita nell’animo: tantoché in fine essa veritá, cominciata a insegnare ai fanciulli, fu accettata comunemente, ricordata con maraviglia l’ignoranza