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98 | operette morali |
estimazione: perché le virtú proprie del poema nuovo non sarebbero aiutate dalla fama di ventisette secoli, né da mille memorie e mille rispetti, come sono le virtú dell’Iliade. Similmente dico, che chiunque leggesse accuratamente o la Gerusalemme o il Furioso, ignorando in tutto o in parte la loro celebritá: proverebbe nella lettura molto minor diletto, che gli altri non fanno. Laonde in fine, parlando generalmente, i primi lettori di ciascun’opera egregia, e i contemporanei di chi la scrisse, posto che ella ottenga poi fama nella posteritá, sono quelli che in leggerla godono meno di tutti gli altri: il che risulta in grandissimo pregiudizio degli scrittori. —
capitolo sesto.
— Queste sono in parte le difficoltá che ti contenderanno l’acquisto della gloria appresso agli studiosi, ed agli stessi eccellenti nell’arte dello scrivere e nella dottrina. E quanto a coloro che, se bene bastantemente instrutti di quell’erudizione che oggi è parte, si può dire, necessaria di civiltá, non fanno professione alcuna di studi né di scrivere, e leggono solo per passatempo, ben sai che non sono atti a godere piú che tanto della bontá dei libri: e questo, oltre al detto innanzi, anche per un’altra cagione, che mi resta a dire. Cioè che questi tali non cercano altro in quello che leggono, fuorché il diletto presente. Ma il presente è piccolo e insipido per natura a tutti gli uomini. Onde ogni cosa piú dolce, e come dice Omero,
Venere, il sonno, il canto e le carole
presto e di necessitá vengono a noia, se colla presente occupazione non è congiunta la speranza di qualche diletto o comoditá futura che ne dipenda. Perocché la condizione dell’uomo non è capace di alcun godimento notabile, che non consista sopra tutto nella speranza; la cui forza è tale, che moltissime occupazioni prive per sé di ogni piacere, ed eziandio stucchevoli o faticose, aggiuntavi la speranza di qualche frutto,