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xxii. le ricordanze 85


consolarmi non so del mio destino.
95E quando pur questa invocata morte
sarammi allato, e sará giunto il fine
della sventura mia; quando la terra
mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
fuggirá l’avvenir; di voi per certo
100risovverrammi; e quell’imago ancora
sospirar mi fará, farammi acerbo
l’esser vissuto indarno, e la dolcezza
del dí fatal tempererá d’affanno.

     E giá nel primo giovanil tumulto
105di contenti, d’angosce e di desio,
morte chiamai piú volte, e lungamente
mi sedetti colá su la fontana
pensoso di cessar dentro quell’acque
la speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
110malor, condotto della vita in forse,
piansi la bella giovanezza, e il fiore
de’ miei poveri dí, che sí per tempo
cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso
sul conscio letto, dolorosamente
115alla fioca lucerna poetando,
lamentai co’ silenzi e con la notte
il fuggitivo spirto, ed a me stesso
in sul languir cantai funereo canto.

     Chi rimembrar vi può senza sospiri,
120o primo entrar di giovinezza, o giorni
vezzosi, inenarrabili, allor quando
al rapito mortal primieramente
sorridon le donzelle; a gara intorno
ogni cosa sorride; invidia tace,
125non desta ancora ovver benigna; e quasi
(inusitata maraviglia!) il mondo
la destra soccorrevole gli porge,