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xviii. alla sua donna | 67 |
Fra cotanto dolore
quanto all’umana etá propose il fato,
25se vera e quale il mio pensier ti pinge,
alcun t’amasse in terra, a lui pur fora
questo viver beato:
e ben chiaro vegg’io siccome ancora
seguir loda e virtú qual ne’ prim’anni
30l’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
e teco la mortal vita saria
simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona
35del faticoso agricoltore il canto,
ed io seggo e mi lagno
del giovanile error che m’abbandona;
e per li poggi, ov’io rimembro e piagno
i perduti desiri, e la perduta
40speme de’ giorni miei; di te pensando,
a palpitar mi sveglio. E potess’io,
nel secol tetro e in questo aer nefando,
l’alta specie serbar; che dell’imago,
poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.
45Se dell’eterne idee
l’una sei tu, cui di sensibil forma
sdegni l’eterno senno esser vestita,
e fra caduche spoglie
provar gli affanni di funerea vita;
50o s’altra terra ne’ superni giri
fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
e piú vaga del Sol prossima stella
t’irraggia, e piú benigno etere spiri;
di qua dove son gli anni infausti e brevi,
55questo d’ignoto amante inno ricevi.