Pagina:Leopardi, Giacomo – Canti, 1938 – BEIC 1857225.djvu/60

54 canti


i tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno,
disse colei. Son morta, e mi vedesti
l’ultima volta, or son piú lune. Immensa
25doglia m’oppresse a queste voci il petto.
Ella seguí: nel fior degli anni estinta,
quand’è il viver piú dolce, e pria che il core
certo si renda com’è tutta indarno
l’umana speme. A desiar colei
30che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare
l’egro mortal; ma sconsolata arriva
la morte ai giovanetti, e duro è il fato
di quella speme che sotterra è spenta.
Vano è saper quel che natura asconde
35agl’inesperti della vita, e molto
all’immatura sapienza il cieco
dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara,
taci, taci, diss’io, che tu mi schianti
con questi detti il cor. Dunque sei morta,
40o mia diletta, ed io son vivo, ed era
pur fisso in ciel che quei sudori estremi
cotesta cara e tenerella salma
provar dovesse, a me restasse intera
questa misera spoglia? Oh quante volte
45in ripensar che piú non vivi, e mai
non avverrá ch’io ti ritrovi al mondo,
creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa
che morte s’addimanda? Oggi per prova
intenderlo potessi, e il capo inerme
50agli atroci del fato odii sottrarre.
Giovane son, ma si consuma e perde
la giovanezza mia come vecchiezza;
la qual pavento, e pur m’è lunge assai.
Ma poco da vecchiezza si discorda
55il fior dell’etá mia. Nascemmo al pianto,
disse, ambedue; felicitá non rise
al viver nostro; e dilettossi il cielo