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VII

ALLA PRIMAVERA,

o

delle favole antiche

     Perché i celesti danni
ristori il sole, e perché l’aure inferme
zefiro avvivi, onde fugata e sparta
delle nubi la grave ombra s’avvalla;
5credano il petto inerme
gli augelli al vento, e la diurna luce
novo d’amor desio, nova speranza
ne’ penetrati boschi e fra le sciolte
pruine induca alle commosse belve;
10forse alle stanche e nel dolor sepolte
umane menti riede
la bella etá, cui la sciagura e l’atra
face del ver consunse
innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
15di febo i raggi al misero non sono
in sempiterno? ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
questo gelido cor, questo ch’amara
nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?