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appunto nel tempo ch’ebbi la fortuna di conoscervi, non è stata mai terminata, né credo che lo sará. Altre poesie inedite, destinate ad uscire in luce, non mi trovo avere». Ora, Luigi de Sinner, presentato al Leopardi dal Vieusseux il 23 ottobre 1830, lo frequentò di persona fino all’11 novembre successivo1: la poesia, bellissima a giudizio di Alessandro Poerio, che il Leopardi non poté inserire nell’edizione Piatti, fu dunque iniziata nell’autunno del 1830. D’altra parte, nessun frammento, fra quelli conservati nelle «carte napoletane», è da riportare a quell’epoca: sicché è probabile che il Leopardi abbia poi terminata la poesia, a cui s’era messo quand’erano ancora vive in lui le impressioni recanatesi, e che questa poesia sia Il passero solitario; del quale altrimenti si dovrebbe dire soltanto che, ideato dopo l’aprile del 1828, quando nel canto A Silvia le strofe libere comparvero per la prima volta nella metrica leopardiana, fu compiuto certamente dopo il marzo del 1831, che venne in luce l’edizione Piatti.
C’è poi, a proposito della data del Tramonto della luna, un equivoco che è bene chiarire, una volta per sempre. Nella «Starita corretta» il manoscritto del Tramonto della luna è autografo, tranne che negli ultimi sei versi, i quali sono invece trascritti di mano del Ranieri sulla pagina di guardia del successivo manoscritto della Ginestra, per rendere impossibile ogni dubbio sull’ordine da seguire nella stampa: al Leopardi evidentemente non importava nulla che, per chiarezza, la calligrafia del Ranieri si sostituisse alla propria in quei sei versi, con i quali cominciava un foglio nuovo. Il Moroncini ha spiegato assai bene la cosa2, ma ha continuato a collegare arbitrariamente questa circostanza alla notizia che gli stessi sei versi ultimi del Tramonto della luna erano stati «scritti» dal Leopardi, due ore prima di morire, a richiesta dello storico tedesco Enrico Guglielmo Schulz, recatosi a visitarlo3. Che si tratti dei medesimi versi, è una coincidenza casuale; piuttosto, è bene ripetere, dopo il Croce4, che il Leopardi, in quel 14 giugno 1837, non li compose, ma bensí li tracciò e li diede allo Schulz per suo ricordo. Perciò ha un significato