si pensoso è Ulisse, affabil ombra, Che la casta mogliera aspetta e prega; Ma Circe amando gliel ritiene e ’ngombra». Dietro a questo puoi notare il seguente, ch’è d’Angelo di Costanzo[1]: «Che quel chiaro splendor ch’offusca e ingombra, Quando vi mira, ogni piú acuto aspetto [cioè vista], D’un’alta nube la mia mente adombra». Ed altri molti ne troverai della medesima forma leggendo i buoni scrittori, e vedrai come anche si dice «ingombro» nel significato d’«impedimento» o di «ostacolo»; e se la Crusca non s’accorse di questo particolare, o non fu da tanto di spiegarlo, tal sia di lei.
Ivi, 12. |
E correr fra’ primieri
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[v. 112] |
pallido e scapigliato esso tiranno.
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Del qual tiranno il nostro Simonide avanti a questo passo non ha fatto menzione alcuna. Il Volgarizzatore antico dell’Epistola di Marco Tullio Cicerone a Quinto suo fratello intorno al Proconsolato dell’Asia[2]: «Avvegnach’io non dubitassi che questa epistola molti messi, ed eziandio essa fama, colla sua velocità vincerebbono». Queste sono le primissime parole dell’Epistola. Similmente lo Speroni[3] dice che «amor vince essa natura» volendo dir «fino alla natura».
Ivi, 14. |
Ve’ come infusi e tinti
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[v. 114] |
del barbarico sangue.
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«Infusi» qui vale «aspersi» o «bagnati». Il Casa[4]: «E ben conviene Or penitenzia e duol l’anima lave De’ color atri e del terrestre limo Ond’ella è per mia colpa infusa e grave». Sopra le quali parole i comentatori adducono quello che dice lo stesso Casa in altro luogo[5]: «Poco il mondo già mai t’infuse o tinse, Trifon, nell’atro suo limo terreno». Ho anche un esempio simile a questi del Casa nell’Oreficeria di Benvenuto Cellini[6], ma non lo tocco per rispetto d’una lordura che gli è appiccata e non va via.
- ↑ Son. xiii.
- ↑ Firenze 1815, p. 3.
- ↑ Dial. d’Amore. Dialoghi dello Sper., Venez. 1596, p. 3.
- ↑ Canzone iv, stanza 3.
- ↑ Son. xlv.
- ↑ Cap. vii. Milano 1811, p. 95.