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xxxiv. la ginestra 137


son le sepolte, e le prostrate mura
230l’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
dell’uom piú stima o cura
che alla formica: e se piú rara in quello
che nell’altra è la strage,
235non avvien ciò d’altronde
fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.

     Ben mille ed ottocento
anni varcâr poi che spariro, oppressi
dall’ignea forza, i popolati seggi,
240e il villanello intento
ai vigneti, che a stento in questi campi
nutre la morta zolla e incenerita,
ancor leva lo sguardo
sospettoso alla vetta
245fatal, che nulla mai fatta piú mite
ancor siede tremenda, ancor minaccia
a lui strage ed ai figli ed agli averi
lor poverelli. E spesso
il meschino in sul tetto
250dell’ostel villereccio, alla vagante
aura giacendo tutta notte insonne,
e balzando piú volte, esplora il corso
del temuto bollor, che si riversa
dall’inesausto grembo
255su l’arenoso dorso, a cui riluce
di Capri la marina
e di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
del domestico pozzo ode mai l’acqua
260fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
desta la moglie in fretta, e via, con quanto
di lor cose rapir posson, fuggendo,
vede lontan l’usato