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xxxii. palinodia | 125 |
230e menti che fur mai, sono e saranno,
dottore, emendator, lascia, mi disse,
i propri affetti tuoi. Di lor non cura
questa virile etá, volta ai severi
economici studi, e intenta il ciglio
235nelle pubbliche cose. Il proprio petto
esplorar che ti vai? Materia al canto
non cercar dentro te. Canta i bisogni
del secol nostro, e la matura speme.
Memorande sentenze! ond’io solenni
240le risa alzai quando sonava il nome
della speranza al mio profano orecchio
quasi comica voce, o come un suono
di lingua che dal latte si scompagni.
Or torno addietro, ed al passato un corso
245contrario imprendo, per non dubbi esempi
chiaro oggimai ch’al secol proprio vuolsi,
non contraddir, non repugnar, se lode
cerchi e fama appo lui, ma fedelmente
adulando ubbidir: cosí per breve
250ed agiato cammin vassi alle stelle.
Ond’io, degli astri desioso, al canto
del secolo i bisogni omai non penso
materia far; che a quelli, ognor crescendo,
provveggono i mercati e le officine
255giá largamente; ma la speme io certo
dirò, la speme, onde visibil pegno
giá concedon gli Dei; giá, della nova
felicitá principio, ostenta il labbro
de’ giovani, e la guancia, enorme il pelo.
260O salve, o segno salutare, o prima
luce della famosa etá che sorge.
Mira dinanzi a te come s’allegra
la terra e il ciel, come sfavilla il guardo
delle donzelle, e per conviti e feste