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xxxii. palinodia | 123 |
160per novo lavorio son di mestieri;
cosí natura ogni opra sua, quantunque
d’alto artificio a contemplar, non prima
vede perfetta, ch’a disfarla imprende,
le parti sciolte dispensando altrove.
165E indarno a preservar se stesso ed altro
dal gioco reo, la cui ragion gli è chiusa
eternamente, il mortal seme accorre
mille virtudi oprando in mille guise
con dotta man: che, d’ogni sforzo in onta,
170la natura crudel, fanciullo invitto,
il suo capriccio adempie, e senza posa
distruggendo e formando si trastulla.
Indi varia, infinita una famiglia
di mali immedicabili e di pene
175preme il fragil mortale, a perir fatto
irreparabilmente: indi una forza
ostil, distruggitrice, e dentro il fere
e di fuor da ogni lato, assidua, intenta
dal di che nasce; e l’affatica e stanca,
180essa indefatigata; insin ch’ei giace
alfin dall’empia madre oppresso e spento.
Queste, o spirto gentil, miserie estreme
dello stato mortal; vecchiezza e morte,
ch’han principio d’allor che il labbro infante
185preme il tenero sen che vita instilla;
emendar, mi cred’io, non può la lieta
nonadecima etá piú che potesse
la decima o la nona, e non potranno
piú di questa giammai l’etá future.
190Però, se nominar lice talvolta
con proprio nome il ver, non altro in somma
fuor che infelice, in qualsivoglia tempo,
e non pur ne’ civili ordini e modi,
ma della vita in tutte l’altre parti,
195per essenza insanabile, e per legge