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xxvii. amore e morte | 105 |
90l’uno o l’altro di voi conceda il fato,
dolci signori, amici
all’umana famiglia,
al cui poter nessun poter somiglia
nell’immenso universo, e non l’avanza,
95se non quella del fato, altra possanza.
E tu, cui giá dal cominciar degli anni
sempre onorata invoco,
bella Morte, pietosa
tu sola al mondo dei terreni affanni,
100se celebrata mai
fosti da me, s’al tuo divino stato
l’onte del volgo ingrato
ricompensar tentai,
non tardar piú, t’inchina
105a disusati preghi,
chiudi alla luce omai
questi occhi tristi, o dell’etá reina.
Me certo troverai, qual si sia l’ora
che tu le penne al mio pregar dispieghi,
110erta la fronte, armato,
e renitente al fato,
la man che flagellando si colora
nel mio sangue innocente
non ricolmar di lode,
115non benedir, com’usa
per antica viltá l’umana gente;
ogni vana speranza onde consola
sé coi fanciulli il mondo,
ogni conforto stolto
120gittar da me; null’altro in alcun tempo
sperar, se non te sola;
solo aspettar sereno
quel dí ch’io pieghi addormentato il volto
nel tuo virgineo seno.