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mento logico, ma di nessun valore estetico, tutto quel che nell’arte della parola non è descrizione. Non è chi non veda come, a trarlo in errore, Egli avesse presenti gl’ibridi centoni umanistici.

Quanto alla descrizione poetica (e, curiosissima cosa, Egli descrive con evidente compiacenza nel momento stesso in cui condanna, oltre che molt’altre volte e volentieri e a servigio... dei pittori!), le nega la perfetta simultanea minutissima figurazione delle cose che sola può ottenere la pittura, ed a ragione... se la descrizione poetica avesse, com’Egli qui par credere, l’unico scopo di presentarci quanto più nitido in tutti i suoi minimi particolari di forma e di colore l’oggetto descritto.

E questo errore gli viene, credo, sopratutto dall’osservazione di se stesso. Prima pittore che scrittore, dotato di una maravigliosa potenza visiva (si che, appena può, scioglie inni all’occhio, come al massimo strumento dell’intelletto), nel descrivere, sia che tolga dal vero, sia che da elementi lontani discordi nella realtà componga creazioni fantastiche, Egli vede con nitidezza grande, e come vede esprime.

Fiorentino e studioso di nuove larghe vedute intorno alla lingua, la parola gli è pronta come il colore sulla tavolozza,1 e spesso — anzi — tira giù alla brava (forse con l’intenzione di finire più

  1. Pochissime sono le voci tolte dal Vinci a dialetti d’altre regioni, anche dopo molti anni di dimora. Il Beltrami nella «Raccolta vinciana», Vol. I. (1905) tra le Varietà, a p. 67-70, compilò una lista di Voci e termini del dialetto milanese nel Codice Atlantico.