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stesso tempo li minaccia alzando col braccio maschile una sferza composta di vari emblemi viscontei-sforzeschi. Il gallo è Giovan Galeazzo; il satiro che aizza i cani (ma se veramente li aizzi è cosa molto dubbia per lo meno), è Cecco Simonetta, l’uccello di preda è l’Impero sempre pronto ad approfittare dei torbidi d’Italia, o lo stesso Ludovico, detto anche nei versi del Bellincione «gentil falcone». La colomba, legata con un laccio al fascio dei svapposti emblemi sforzeschi, è Bona di Savoia, che appunto per impresa prediligeva la colomba.
Questa colomba, disgraziatamente (s’è già visto), non c’è: il Colvin ha scambiato la linea della grande ala del rapace abbozzato in lontananza con un laccio che unisse l’uccello (visto così molto impiccolito nella sua caratteristica apertura d’ali), alla sferza simbolica. Quindi Bona, in balia del Moro, e scagliantesi — per vendicare il suo favorito offeso, il Tassino — contro il fedele Simonetta, sparisce.
E poi? E poi, si può con sicurezza credere che Leonardo giunto alla Corte quando la condanna del Simonetta era già fatto compiuto da qualche anno, e che valeva meglio, per il Moro, seppellire nell’oblio, fosse incaricato d’una simile allegoria?
Peggio della spiegazione del Colvin è la correzione del Solmi. Egli crede che Leonardo qui rappresenti la pretesa congiura ordita (1492) da Bona di Savoia (colomba) e da Bernardo da Cotignola (satiro), contro Galeazzo da Sanseverino e il Moro: «a sinistra la Verità — egli aggiunge — pone in fuga le calunnie con lo specchio riflettente la luce del sole». Cose inesattissime tutte sotto tutti i rapporti.
Credo che si potrebbero appiccicare alla misteriosa allegoria molte altre interpretazioni politiche giovandosi della storia tumultuosa di quegli anni1. Credo, anche, che altret-
- ↑ Non potrebbe per esempio, il «satiro» essere G. Giacomo Trivulzio, indarno minacciato dal Moro perchè lasciasse l’esercito francese?