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forse disunite, certo oscure nel loro scopo ultimo. Cerchiamo di commentarle.
Scrive Leonardo: «L’Ermellino prima vol morire che ’mbrattarsi»1. E poi: «L’Ermellino, per la sua moderanza, non mangia se non una sola volta il dì, e prima si lascia pigliare a’ cacciatori che voler fuggire nella infangata tana2.
E questo Leonardo avrebbe scritto in onore di Lodovico? questo, mentre avrebbe dovuto dire che la malafama del Moro era dovuta alla calunnia, e non a vera colpa?
Al caso, molto meglio era parlare dello schizzo riprodotto dal Colvin, in cui l’Invidia cerca di colpire con uno strale ch’ha forma di lingua, la Virtù o Fama3; ovvero dell’altro riprodotto dal Colvin e dal Richter in cui l’Invidia (o Calunnia) a cavallo d’un mostro, insegue e prende la mira, mentre l’Ingratitudine seduta in groppa sceglie un’altra freccia dal turcasso: entrambe non s’accorgono che dietro loro sta la Morte, scheletro orrendo armato della clessidra e della falce4. Ci sarebbe qui — volendola trovare — anche una minaccia di morte contro i detrattori del Moro!
Il fatto è — invece — che le spiegazioni che il Vinci lasciò di questi schizzi e d’altri affini sono di carattere puramente morale.
Egli si è compiaciuto di complicare il simbolismo, con quella ricerca dell’inusitato, del sottile, del difficile che è predilezione d’ingegni italiani pure lucidi, sintetici e poderosi: si veda, per esempio, la minuta descrizione delle vesti e degli ornamenti simbolici d’un cavaliere, e delle Virtù che gli stanno intorno5, e più tutta la lunga spiegazione che accompagna lo schizzo d’un mostro binato, il Dolore e