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che gli fu cagione della più superba gioia, l’altezza e la vastità immensa dell’intelletto, gli fu cagione della più profonda amarezza: l’indifferenza ottusa, la diffidenza maligna, la superstizione cieca della folla l’offendevano appena usciva dal suo orgoglioso isolamento.

«La somma felicità sarà somma cagione della infelicità, e la perfezion della sapienza cagion della stoltizia» : grido dell’anima offesa, confessione sfuggita al grande superbo!

Pensiamo il frutto della sua vita, com’Egli lo doveva a volte vedere, in un lampo: poche l’opere condotte a termine e che destarono lo stupore e l’ammirazione, parecchie le fallite o incompiute, molte le invenzioni scientifiche lasciate a mezzo, molte le scoperte afferrate o intraviste e conservate gelosamente nel suo secreto; tutto questo doveva essergli soma ben grave di scontento, d’amarezza e nel medesimo tempo d’orgoglio.

Stolido chi mette in piazza il frutto del suo studio! la sua generosità sarà pagata a colpi di sferza o di scure: questo dicono le favolette del noce e del fico che furono schiantati a furia per aver fatto pompa dei lor dolci figliuoli. La dura esperienza della vita gli ha insegnato a diffidare e a disprezzare; perciò Egli nasconde al profano vulgo i suoi secreti maravigliosi.

«Non insegnare e sarai solo eccellente!» — ammonisce con superba durezza, facendosi del suo sapere rocca e olimpo, ma poi, subito dopo (curioso!) annota con la modestia d’una massaia, bonariamente: