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considerava simili confessioni come debolezze e se ne vergognava? e quale miglior prova che noi invano tentiamo di sollevare il velo del suo misterioso spirito? poichè, con fermo proposito, Egli nei suoi manoscritti avrebbe taciuto e cancellato il ricordo di tutto quello che veramente l’appassionava come uomo, scrivendo solo quel che l’interessava come scienziato e artista.


Quegli ch’ebbe in sè la radice
ed il fiore della volontà perfetta...
quel Promèteo meditabondo
che immune fu dal supplizio rapitore
inviolabile, modello del Mondo.


Leonardo! — Ecco come, tutt’all’opposto di quelli che l’accusano d’impotenza, d’abulia e d’incostanza, il D’Annunzio e molti appassionati studiosi di cose vinciane vedono il Grande: un semidio, che abbandonate le cure terrene, spazia con serena fronte e olimpico sguardo nei regni dell’arte e della scienza.

E forse sbagliano: considerare tranquillità quel ch’era aspro freno di sè, indifferenza quel ch’era amaro dispregio conquistato dopo dure prove. Infatti, nei suoi scritti restano le tracce, finora non avvertite e studiate, d’una profonda tristezza e d’un profondo sprezzo per gli uomini.

Nulla di più ingiusto che chiamarlo, come s’è fatto, «il pittore del sorriso». L’enimmatico sorriso della Gioconda, del San Giovanni, della San-