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alla vita di leonardo da vinci | xxxix |
e la forza del vapore alle artiglierie;1 dettò più di un secolo e mezzo innanzi al Castelli le più compiute e le più esatte teorie d’idraulica.
Osando un secolo avanti Galileo predicare l’esperienza come sola maestra nello studio dei fenomeni naturali; ammettendo sulla costituzione fisica del globo ipotesi dedotte dalle leggi della fisica meccanica e dell’idraulica, combattendo le qualità occulte: rinnovò nella sua mente tutta la filosofia naturale; e solo, senza maestri e senza libri, esplorò un campo ancora intatto, del quale pure con l’intelletto prodigioso misurava tutta la estensione e le difficoltà. Ma giovane di trent’anni, ragionando a perdita di vista dinanzi a persone gravissime sopra i primi veri e noti principi (come egli stesso si esprime), e deducendo conseguenze fuori del comune intendimento, fu cagione che tutti i suoi amici e coloro ai quali comunicava il frutto dei suoi studi, ammirassero il suo discorso, ma lo ricevessero piuttosto come una vana speculazione di un grande ingegno, che come l’espressione di chi ha sudato camminando alla ricerca del vero per una via fino allora non battuta. Tale accoglienza ebbe il disegno di metter Arno in canale da Pisa a Firenze, e l’altro col quale più volte a molti cittadini ingegnosi che governavano allora Firenze mostrava volere alzare il tempio di San Giovanni e sottomettervi le scalee senza minarlo. Questi fatti narrati dal Vasari, il quale nel modo stesso del suo racconto mostra di non intendere abbastanza la mente di Leonardo, fanno fede che non si credeva troppo a quegli studi, perchè in quel modo non erano soliti studiare coloro che si reputavan sapienti. Onde egli, stanco oramai dei loro dotti fastidi, e stanco di passare la vita senza aver dato mano a quasi nulla di grande, abbandonava Firenze. La fortuna gli aveva negato di spendere l’opera sua a benefizio della patria, ma non poteva torgli la coscienza della sua forza. Arrivato appena in Milano, scriveva al duca la lettera che abbiamo riportata.
Dove avesse imparato tutto quello che egli riferisce, non sappiamo. Sappiamo bene che egli poteva mantenere molto più che non promettesse, e che il frutto dei suoi studi apparve ben presto. Fondata in Milano l’Accademia Vinciana, scriveva per quella il Trattato della pittura e continuava sul canale della Martesana gli studi d’idraulica che aveva incominciati sull’Arno. Due volte si è occupato dei canali di quella provincia: nel 1492 per ordine di Lodovico il Moro, e dal 1507 al 1510, chiamato da Lodovico di Francia. I lavori della seconda volta sembrano più importanti di quelli della prima. Diciamo frattanto che i lavori del canale della Martesana, diretti dall’ingegnere Bertolino da Novara dal 1457 al 1460, derivavano le acque dell’Adda sotto il forte di Trezzo e le conducevano vicino a Milano. Le acque di questo canale erano vendute per la irrigazione. Nel 1480, sfiancatesi le mura ed il suolo, ricaddero nel fiume, onde 200 braccia di canale fu d’uopo di nuovo scavare nel sasso. Una conca era stata costruita presso San Marco, col fine di provvedere alla navigazione del canale, la quale non si era frattanto potuta ottenere. Lodovico il Moro, richiamato dall’esilio, suggerì al nipote Giovan Galeazzo il pensiero di rendere navigabile il canale della Martesana, e in nome di lui fece in data de’ 16 maggio 1483 il decreto per ciò eseguire.2 Sebbene le venuta di Leonardo voglia riferirsi a questo tempo, non è ben certo che a Leonardo fosse affidata la direzione dei lavori della Martesana, come non è certo il quando fossero condotti. Sembra però doversi argomentare che da prima non fossero intrapresi con troppo felice successo. Perchè in alcuni frammenti di ricordi presi da Leonardo in una ispezione fatta nel 1492 ai canali di Lombardia per ordine del Moro si trova un esame critico delle opere costruite e le correzioni da farsi. Egli dimostra che le acque del canale non sarebbero state bastanti a portar navi, se non si ristringeva il canale quasi della metà, e che derivando dall’Adda maggior copia di acque poteva anco provvedersi alla irrigazione, scavando a lato del Naviglio vene di acqua dalle quali si versasse quella che soprabbondava. La cavatura del Naviglio, la relativa perizia sono notate nei codici di Leonardo. Egli disegnò parimente la conca di San Marco, edificio di già esistente; fece l’analisi critica di tutte