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vi | giorgio vasari |
alzare il tempio di San Giovanni di Fiorenza, e sottomettervi le scalee senza ruinarlo; e con sì forti ragioni lo persuadeva, che pareva possibile, quantunque ciascuno, poi che e’ si era partito, conoscesse per sè medesimo l’impossibilità di cotanta impresa.
Era tanto piacevole nella conversazione, che tirava a sè gli animi delle genti; e non avendo egli, si può dir, nulla, e poco lavorando, del continuo tenne servitori e cavalli, de’ quali si dilettò molto, e particularmente di tutti gli altri animali, i quali con grandissimo amore e pacienza governava: e mostrollo, chè spesso passando dai luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandoli di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che n’era chiesto, li lasciava in aria a volo, restituendoli la perduta libertà. Laonde volle la natura tanto favorirlo, che dovunque e’ rivolse il pensiero, il cervello e l’animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue, che nel dare la perfezione di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e grazia, nessuno altro mai gli fu pari. Vedesi bene che Lionardo per l’intelligenza dell’arte cominciò molte cose, e nessuna mai ne finì, parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezione dell’arte nelle cose che egli s’imaginava: conciossiachè si formava nell’idea alcune difficultà sottili e tanto maravigliose, che con le mani, ancora ch’elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai. E tanti furono i suoi capricci, che filosofando delle cose naturali attese a intendere la propietà delle erbe, continuando ed osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole.1
Acconciossi dunque, come è detto, per via di ser Piero, nella sua fanciullezza all’arte con Andrea del Verrocchio, il quale facendo una tavola, dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò un angelo che teneva alcune vesti; e benchè fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio delle figure d’Andrea stava l’angelo di Lionardo; il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui.2 Li fu allogato per una
- ↑ Nella prima edizione leggonsi inoltre le seguenti parole: «Per il che fece nell’animo un concetto sì eretico, che e’ non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo, che cristiano». Nella seconda edizione omise il Vasari un tal periodo, e fece bene, conoscendo probabilmente d’essere stato ingannato da qualche mal fondata tradizione rimasta nel volgo; imperocchè è noto che in quei tempi, nei quali lo studio delle cose naturali e speculative non era sì comune, coloro che vi si applicavano venivano dagli ignoranti facilmente presi per eretici o miscredenti, e non di rado eziandio per fattucchieri e per maghi. (Vedi più sotto, a pag. xxii, le note 1 e 2).
- ↑ † Vedi la Vita del Verrocchio nelle Opere di Giorgio Vasari (Firenze, Sansoni, 1878-85). Noi abbiamo documenti, i quali provano che nel 1476 Leonardo stava tuttavia nella bottega del Verrocchio. E ci pare che quando egli dipinse l’angelo nella tavola del Battesimo, non dovesse essere più fanciullo, ma facilmente giovane di più di 20 anni. Questa nostra congettura potrebbe diventare certezza, se ci fosse dato di assegnare il tempo preciso di quel dipinto. Ma il racconto del Vasari ci richiama ad altre considerazioni; cioè, in primo luogo se sia da credere così facilmente che il Verrocchio facesse così grandi maraviglie vedendo l’angelo dipinto da Leonardo nella tavola del Battesimo, quando di quel che il Da Vinci valesse nell’arte sua egli non doveva aver fatto esperienza allora per la prima volta; ed in secondo luogo se sia verosimile che il Verrocchio vedendosi vinto dal discepolo pigliasse tanto sdegno da non voler più innanzi toccare pennelli; essendo certissimi che egli tenesse aperta tuttavia la sua bottega di pittore anche nel 1476, cioè qualche anno dopo di quello, nel quale si può congetturare che fosse dipinta la detta tavola.
posseduta dal signor Angiolini di Milano, dove sono intagliati cavalli in varie attitudini; nega che sieno intagliati da Leonardo i disegni nell’opera De divina proportione del Paciolo e gli altri nel Trattato di musica del Gafurio.