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80 | CAPITOLO SECONDO |
Però, quello sguardo di fuoco! Collo sguardo di fuoco, Massimo ripensò anche la musica della notte. Cos’aveva nell’anima, la misteriosa creatura? Le rigidezze, le noncuranze, le impertinenze tacite, le impertinenze espresse, erano ostentazioni, a ben considerarle, incomprensibili. Perchè, come poteva ella supporre in lui la intenzione di farle la corte? Che segno ne aveva egli dato? Gli passò per la mente un sospetto. Don Aurelio si era fitto in testa ch’egli dovesse prender moglie presto. Possibile che avesse pensato a questa signorina? Che qualchecosa ne fosse trapelato a lei stessa? No, impossibile, per cento ragioni. Non foss’altro, per l’amicizia che legava don Aurelio al signor Marcello. E allora? Allora una sola cosa era chiara: la voluta ostilità della fanciulla. Si poteva interpretarla come una difesa contro l’amore nascente, se l’amore avesse avuto il tempo di nascere. Ma così?
Sostò a un sedile rustico sotto il castagno dove la costa gira. Le grandi nubi veleggiavano al Torraro, le ombre degli alberi si muovevano al vento sulle rive fiorite, la villa bianca rideva laggiù nel sole, il fragore sordo del torrente e delle turbine di Perale saliva nel silenzio del castagneto. Massimo non godeva l’ombra, nè il vento fresco nè la bellezza gentile e grande delle cose. La sentiva straniera al suo cuore amaro, si sentiva straniero ad essa. Meditò che dovesse fare. Rimanere alla Montanina, no. O persuadere don Aurelio a ospitarlo, o ritornare a Milano. Si rimescolò volontariamente nel cuore tutte le amarezze, quelle posate al fondo, quasi fuori della memoria, insieme alle ultime. Fermò il pensiero sul caso doloroso di don Aurelio. Perchè, infine, non valeva proprio la pena di turbarsi per le impertinenze della signorina Lelia. Ma don Aurelio! La tentazione antica ritornava scura, violenta: non era da romperla una buona volta con questa gente