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74 | CAPITOLO SECONDO |
saetta di fuoco, si spense. N’ebbe annebbiata per un istante la vista e gli fu duro lo sforzo di rispondere abbastanza prontamente a don Aurelio.
«Sì» rispose «sarò più modernista di Lei, ma modernista non sono.»
Non era stato uno sguardo della Sfinge marmorea, un lampo rivelatore?
Il signor Marcello allungò la mano a prendere quella di lui, stesa sulla tavola.
«Caro caro» diss’egli. «Tenga a mente le parole di un vecchio: non vi ha che un solo modernismo buono ed è quello di Dante.»
Dante, caro! Tutta la credenza cattolica, fino all’ultimo iota, con fede intensa, e tutto il Vangelo, a tutti gli uomini, di qualunque colore portino l’abito, fino all’ultimo iota, con parola franca! Dante, caro, Dante, Dante! — E adesso parlate di rododendri.»
Invece che di rododendri, Massimo parlò della camera lasciata vuota, a Sant’Ubaldo, da Carnesecca, disse al signor Marcello che non aveva più ragione di dargli incomodo. Il signor Marcello, sorpreso, quasi offeso di tali cerimonie, protestò che non l’avrebbe lasciato partire. Il discorso di Massimo parve dare ai nervi anche di don Aurelio, cui era più facile manifestare il suo animo con un inquieto agitarsi di tutta la persona che con parole. Massimo insisteva; egli pure, come don Aurelio, accompagnando parole rotte con moti diversi della persona e del viso, con segni visibili di argomenti invisibili.
«Insomma» esclamò il suo amico, mezzo serio, mezzo ridente «stando in casa mia tu mi faresti più male di quell’altro ch’è scappato e non ti voglio! Devi accontentare il signor Marcello.»
Massimo ebbe il senso, con una gran vampa nel petto, di qualchecosa di grave che maturasse in quel