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72 | CAPITOLO SECONDO |
I quattro commensali sedettero alla tavola quadrata, uno per lato: Lelia in faccia alla porta vetrata che mette in giardino e guarda le scogliere del Barco, Massimo alla sua sinistra, in faccia alla finestra che si apre sulla imminente, scura, profonda selva di castagni. Alla destra di Lelia era don Aurelio, che le rivolse presto la parola, le disse di averla veduta spesso discendere per la strada militare della Batteria, recando fiori. Le parlò dei molti rododendri che macchiano le frane della Priaforà. Ella li conosceva pure e confessò di prediligere quei luoghi selvaggi. Aveva una voce più grave, meno dolce della voce di donna Fedele, morbida e calda, mossa, dentro i confini delle note femminili, da una corda di violoncello, ricca di contenuto passionale in potenza.
Alla domanda di don Aurelio se amasse le solitudini, rispose di slancio che sì, molto. Soggiunse, per timore di un equivoco:
«La solitudine, Lei dice?»
«Dicevo «le solitudini» veramente.»
Ella si avvide, senza guardare da quella parte, di un movimento delle labbra di Massimo. Si affrettò a riannodare il discorso con don Aurelio, gli chiese se avesse veduto fioriti i rododendri della Priaforà. Eh no, non era possibile, la signorina dimenticava che don Aurelio era venuto a Sant’Ubaldo nell’ultimo ottobre.
«Li vedrà in luglio» diss’ella.
Don Aurelio sorrise.
«Sai» disse il signor Marcello malinconicamente, «don Aurelio ci abbandona.»
«A dire il vero» osservò Massimo «non è lui...»
«Ci abbandona?» interruppe Lelia più sorpresa che dolente.
«Lo cacciano via» disse Massimo con una punta di dispetto, volendo imporsi all’affettata noncuranza