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FUSI E FILA 71

«Allora...» fece il signor Marcello, più malcontento che rassegnato.

Appena ella fu scomparsa, ne fece grandi elogi. Era buona, intelligente, musicista nell’anima, abile nella direzione della casa, che teneva lei. Massimo ascoltava e taceva. Mise, quando potè, il discorso sul licenziamento di don Aurelio, del quale, naturalmente, il signor Marcello nulla sapeva. Massimo non ne conosceva ancora i particolari ma il fatto era certo.

Il signor Marcello ne fu più sbigottito e dolente che irritato. Ventiquattr’ore prima non sarebbe stato così. Di Carnesecca, Massimo non potè riferire che la fuga. Era molto dubbio, secondo lui, che don Aurelio potesse tenere l’invito a colazione. Parlò anche di donna Fedele, senza sapere quali fossero le relazioni di lei colla Montanina. Il signor Marcello mostrò di compiacersi molto che vi fosse fra loro un legame, v’insistette senza dirne il perchè, senza lodi speciali delle persone e prese a raccontare come i Vayla di Brea si fossero stabiliti ad Arsiero. Intanto sopraggiunse don Aurelio.

Egli entrò lieto. Alle domande ansiose di Massimo e del signor Marcello rispose corto. Sì sì, era vero, doveva lasciare la curazia dentro quindici giorni, sì. Ma non c’era da accusare nessuno. Ismaele era un povero uomo, un visionario. Le sassate di Posina gli facevano vedere persecutori dappertutto. A Lago sarebbe venuto un prete con famiglia: madre e sorella. Probabilmente si trattava di procurargli un pane, poveretto; mentre egli, solo soletto com’era... E si strinse nelle spalle come se per lui trovar pane fosse affare da nulla. Si dilungò invece a raccontare l’odissea di Carnesecca, ch’era già beatamente a letto in una bella cameretta del villino. Ossia, beatamente no, perchè le trecentocinquantanove ossa gli avevano ripreso a dolere forte; ma insomma...! Il domestico annunciò che la colazione era servita. Lelia aspettava nella sala da pranzo.