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70 CAPITOLO SECONDO

qualche cosa, vi frugò dentro, e, finalmente, si alzò, si voltò.

Il signor Marcello la presentò:

«Mia figlia.»

Ella salutò appena. Massimo fece un inchino mormorando qualche cosa d’indistinto di cui s’intese solo «piacere.»

Sì, piacere. Non era nè l’uno nè l’altro viso. Era il viso compunto della fanciulla che accoglie, per la prima volta, un amico del suo fidanzato morto. Era il viso di una persona che fu tutta per l’amore ed è tutta per la morte. Massimo sarebbe stato severo alle irregolarità di quel viso se l’espressione ne fosse apparsa diversa. Invece, non parendogli tale da doversene guardare, lo trovò quasi bello. E trovò graziosa la persona, non alta ma perfetta di forme nel semplice vestito cenere guernito di nero, basso di accollatura. I capelli biondi gli parvero magnifici sulla testa piccola e il collo d’avorio, elegante. Egli prese tosto un’aria più sciolta.

Invece Lelia parve farsi anche più rigida. Il signor Marcello si avvide, a un impercettibile moto di lei, che stava per prendere il volo come un bambino atteso al giuoco, cui brucia il pavimento. Volle trattenerla parlando di lei.

«Si è sacrificata per la mia povera moglie e per me» diss'egli. Raggiunse l’effetto opposto. Lelia esclamò in tono di rimprovero: «Papà!» e corse via, verso la sala da pranzo. Il signor Marcello la richiamò dolente: «Lelia!»

Ella si fermò proprio sulla soglia della sala da pranzo, si voltò e stette, colle mani agli stipiti. Massimo trasalì. Era il viso temuto, la Sfinge marmorea dagli occhi bassi. La visione non durò tre secondi. Lelia alzò gli occhi, sorrise di un sorriso forzato.

«Devo andare, papà» diss’ella «se vuole far colazione.»