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FUSI E FILA | 63 |
Allora Carnesecca, al quale ripugnava l’accompagnamento chiassoso degli alpini, si voltò ad essi e chinando il capo fra le mani spiegate come due grandi appendici degli orecchi, ringraziò a destra, ringraziò a sinistra, fece capire che non occorreva si disturbassero. Pareva un Papa in sedia gestatoria, che benedicesse.
Gli alpini, malcontenti della Checca negativa e delle sacca positive, si scostarono.
«Andiamo, Calàpo» fece Carnesecca, dolce dolce. «La benedico» disse a don Aurelio «per la Sua ospitalità.» E all’ostessa: «Vi benedico anche voi per questa carrettella, per la sedia e... siamo misericordiosi... anche per il caffè.» Ecco l’oste che sbuca da una porticina laterale dell’osteria, vede e sbuffa: «cosa l’è questa commedia?» Carnesecca lo guarda, placido. «Vi benedico» dice «anche voi, galantuomo, perchè avete una moglie cristiana e la moglie cristiana giova al marito idolatra. Andiamo, Calàpo.»
L’oste rimase di stucco, Calàpo, gobbo sotto l’arco delle cinghie, svoltò dal portone in strada, gli alpini gli tennero dietro motteggiandolo: «Arri, Calàpo! Arri, Calàpo!» Don Aurelio, guardato un poco il bizzarro gruppo che si allontanava verso Velo, riprese la via di Sant’Ubaldo.
II.
Egli aveva nel cuore, adesso, e nella mente, soltanto il colloquio avuto col signor Marcello, dopo la messa, in sagrestia. Il signor Marcello gli aveva parlato come uno che si crede vicino a morire, senza volerne spiegare il perchè, solo accennando ai suoi settantadue anni. Qualche mutamento doveva essere avvenuto in lui. Lo dicevano certa placidità, e certa dolcezza nuova della