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62 CAPITOLO SECONDO


Carnesecca, disturbato all’inizio di un panegirico della Dama bianca delle Rose, com’egli chiamava la Vayla, cercò di alzarsi per andarsene. Don Aurelio lo trattenne. Aveva pensato che, poste le circostanze, fosse meglio, per molte ragioni, lasciarlo andare al villino delle Rose. Ma non era possibile lasciarvelo andare a piedi. Pregò l’ostessa di permettere almeno, se non voleva ospitarlo, che Calàpo lo conducesse al villino coll’asino. Ma l’ostessa allegava le sofferenze del «bestiulo», Calàpo urtava la carrettella indietro al suo posto e Carnesecca pretendeva di poter andare a piedi. Don Aurelio si mosse per affrontare l’oste e chiedergli di ricoverare quell’uomo, almeno fino a sera. Calàpo gli si avvicinò e si offerse di fare da «musso». S’impegnava di tirare la carrettella fin al villino. Intanto un alpino aveva chiamato la Checca sulla strada, dietro a quello n’erano venuti degli altri, l’avevano presa in mezzo, rossa e ridente. L’ostessa chiamò «ohe, Checa!» La Checca rientrò, gli alpini la seguirono e uno di essi, udendo l’amico Calàpo insistere nella sua offerta che don Aurelio esitava ad accettare, gli gridò:

«Vusto? Te juto!» Anche i suoi compagni, per far chiasso, offersero il loro aiuto. Si combinò che avrebbero tirata, tutti insieme, la carrettella fino a Velo, dove si sarebbe cercato un asino sano. Calàpo entrò fra le stanghe della carrettella, due alpini levarono Carnesecca di peso e ve lo adagiarono dentro. Proposero, ad alte grida, di farvi salire anche la Checca, ma la Checca scappò da una parte e Carnesecca fece l’atto di buttarsi giù, sdegnosamente, dall’altra. L’ostessa accomodò le cose. «Del peso, tusi? ve servo!» Mandò Calàpo per due sacca di grano da portare al mugnaio. Ma Carnesecca chiamò Calàpo a sè, gli domandò se veramente si sentisse in grado di trascinare da solo la carrettella fino a Velo. «Fino a Velo?» rispose Calàpo. «Fino a Piovene!»