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56 CAPITOLO SECONDO

Velo d’Astico, per chiedergli quali fossero le sue relazioni coll’arciprete.

«È un buonissimo uomo» rispose don Aurelio. E soggiunse sorridendo: «Forse non ha una grande simpatia per me.»

Non v’era una ragione di sorridere. Massimo capì che don Aurelio sapeva.

«Perchè sorride?» diss’egli.

Il curato non rispose.

Si udì la voce della Lúzia che saliva le scale gridando:

«Smèle, Smèle! Xelo là, Smèle?»

Ella entrò in furia e, guardatosi attorno, parve tramortire, giunse le mani, esclamò:

«Gésumarìte che nol ghe xe!»

Chi, non c’era? - Ma, Smèle! - Che Smèle? - Cape, Carnesecca! -

Sicuro, entrando nella camera dell’ammalato, la Lúzia non lo aveva trovato più. Don Aurelio intese, diede un balzo, precipitò dalle scale, seguito da Massimo e dalla Lúzia. Proprio vero, la camera era vuota. E gli abiti, gli abiti? Gli abiti erano scomparsi.

«Gésumarìte, poro can!» fece la Lúzia. «El me ga lassà un franco»

La moneta brillava sulla paglia della sedia, accanto a un gomitolo e a due ferri da calze.

«El se ga desmentegà l’orologio» soggiunse.

«Massimo!» esclamò don Aurelio. «Vieni con me!»

Incontrarono sulla porta di casa donna Fedele, che, udite le grida della Lúzia, le voci commosse degli altri, veniva a vedere di che si trattasse. La informarono rapidamente. Allibbì. Allora era vero? La lettera portata dal sagrestano...? Carnesecca era partito per questo? Oh Signore!

Donna Fedele parve annientata.

«È vero» rispose don Aurelio placidamente» ma