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FUSI E FILA 43

un casolare lontano mezzo chilometro. Il passo pesante dell’uomo si perdette giù per le casuccie sporche, mentre la voce insolente ripeteva:

«Foresta, foresta, foresta!»

Allora una ragazza che stava annaffiando dei garofani, si porse dalla finestra, salutò la signora, le disse che aveva portato il latte a don Aurelio un’ora prima e che Carnesecca si sentiva molto meglio. L’altra si scusò a questo modo: aveva sperato che fosse morto, il brutto uomo! E siccome la signora le fece rimprovero della speranza crudele, prese la sua rivincita sopra di lei.

«Parchè no la sa, ela! Parchè la xe foresta! E anca el prete, me par mi, siben che l’è un santo omo...»

«È foresto» disse la signora. E soggiunse volgendosi a Massimo con un sorriso: «È samaritano.»

«Eccu!» conchiuse acutamente la forestiera di Maso. «El sarà de quel paese che la dise ela.»

Massimo e la signora presero ridendo l’erta che conduce alla chiesuola di Sant’Ubaldo, presso la quale è l’abitazione del curato. Videro aperta la porta della chiesa, udirono la voce di don Aurelio ed entrarono. Egli celebrava. La messa era al Pater. Due sole persone assistevano; una vecchietta nell’ultima panca; sulla prima, davanti all’altare, china la testa selvosa, raccolto nell’atto della preghiera intensa, il signor Marcello. I due sopraggiunti s’inginocchiarono accanto alla vecchietta.

Quando, poco prima della comunione, il signor Marcello sorse, quasi a stento, in piedi, e andò curvo a inginocchiarsi davanti alla balaustrata, donna Fedele Vayla di Brea pose a quel vecchio capo grigio-fulvo gli occhi pieni di dolcezza grave e solo ne li tolse, per abbassarli, allorchè il celebrante gli si accostò con l’ostia consacrata e le parole di vita eterna.

Ell’aveva conosciuto Marcello da bambina. Era sui