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486 CAPITOLO DECIMOSETTIMO

che stava alla finestra di ponente, vide un lume spuntare lontano, nelle tenebre. Il medico riconobbe il battello speciale e lo annunciò all’ammalata che pregò di mandare un biglietto a Oria perchè Massimo venisse immediatamente. Cominciò allora per essa uno stato nuovo d’inquietudine. Pareva avere perduto la nozione del tempo e dello spazio, domandava di minuto in minuto, prima se fosse arrivato il battello, poi, quando il battello fu visto fermarsi a Oria, se fosse arrivato Massimo. Si giunse così alle undici e anche Lelia era inquieta perchè del ragazzo portatore del biglietto non si avevano più notizie. Non capiva come Massimo, ricevuto il biglietto, non fosse accorso tosto. Poco dopo le undici l’albergatore, che aveva mandato qualcuno verso Albogasio, salì le scale di corsa, annunciò: «viene, viene!». Lelia discese, incontrò i due nell’ingresso dell’albergo. Non si attendeva alla vista di don Aurelio che comprese il suo imbarazzo, la lasciò occupata a informare rapidamente Massimo e volò sulle scale. L’albergatore lo accompagnò fino all’uscio della camera di donna Fedele. La voce nota, il noto viso spirante lieta bontà rianimarono donna Fedele.

«Oh, don Aurelio!» diss’ella. «E Massimo?»

Chino all’orecchio della morente, mentre il prevosto, il medico e la cugina Eufemia si tenevano in disparte, don Aurelio prese a parlarle così basso che coloro non ne udirono neppure la voce. Udirono invece le fievoli voci brevi che metteva donna Fedele con un inesprimibile accento di sorpresa e di gioia.

«Eccolo» disse don Aurelio, rizzandosi mentre Massimo entrava.