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482 CAPITOLO DECIMOSETTIMO

Spoglia che ci fosti sì cara, riposa in pace fino a quel giorno!»

La bara discese vicino a quella di Elisa Maironi, furono dette le ultime preghiere, fu chiusa la fossa. Il parroco era ritornato alla chiesa per svestirsi, la gente si era dispersa, Massimo, don Aurelio, i giovani romani, trattenutisi alquanto sulla fossa, scendevano la gradinata, il sagrestano stava per chiudere il cancello, quando la donna che pareva una cameriera venne a pregare che il cancello rimanesse aperto ancora per pochi minuti. Siccome il sagrestano esitava, Massimo e don Aurelio intervennero insieme, fecero che colui acconsentisse. La cameriera si allontanò, raggiunse la dama velata che aspettava sul viottolo, all’angolo di ponente del cimitero. Solamente allora, chi aveva preso la lettera portata dal ragazzo di San Mamette si ricordò di consegnarla a Massimo. Massimo potè leggere, tra un soffio di vento e l’altro, coll’aiuto di fiammiferi:

«La nostra amica sta molto male. Venga appena può.

Leila.»


Massimo supplicò don Aurelio di venire con lui. Don Aurelio avrebbe dovuto ripartire per Milano allora allora. Udito di che si trattava, vi rinunciò. I due si congedarono a precipizio dai giovani amici che rimasero a commentare la loro fuga. In quel trambusto la dama velata passò loro accanto colla compagna senza che se ne avvedessero. Se ne avvidero poco dopo perchè la compagna non passò il cancello, rimase fuori insieme al sagrestano, aspettando. Parve loro indiscreto di rimanere lì. Però, siccome avevano trattenuto il piroscafo a loro disposizione, stimarono dover offrire alle signore di prenderle a bordo. Uno di essi salì al can-