Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA DAMA BIANCA DELLE ROSE | 479 |
largo a stento, giunse alla gradinata. Qualcuno si provò ad accendere dei fiammiferi perchè, non pratico del luogo, egli ci vedesse a salire. Fu inutile. Salì accompagnato per mano. Solo i più vicini lo videro; gli altri non ne udirono che la voce vibrante sopra quelle del vento e delle onde che crepitavano al basso lungo i muri della riva.
«È giunto» egli parlò «il tribolato Viandante alla terra dell’ultima sua quiete, soccorso di nuove preghiere dalla Santa Chiesa che morente nelle sue braccia materne lo affidò alla misericordia Divina. Non gli amici nè i discepoli suoi ma candide anime credenti e immaginose di popolani lo chiamarono santo con suo sdegno e dolore. La Chiesa, quando prega per un defunto, non ne conosce nè santità nè virtù. Non conosce, nella sua sapienza severa, che la universale fragilità umana, le universali miserie del peccato, ascose o palesi, a fronte dell’imperscrutabile mistero nel quale si chiude il giudizio Divino. Però la Chiesa, memore del pianto di Gesù presso il sepolcro di Lazzaro, consente ai poveri cuori umani la parola, sulle tombe, dell’amore e del dolore, consente loro la lode cui anche il solo pianto dice. Amore, dolore e lode premono alle mie labbra; eppure io non saprò trovarne le parole, io sento in me non so quale impedimento arcano che me le nasconde, io credo di sentire in me un contrario impero di questo morto, io credo ch’egli non voglia nè dolore nè lode, io credo di sentire quali parole egli voglia da me.»
L’oratore si arrestò un momento, ansante. Un fremito di commozione corse per la calca stretta sulla gradinata. Alcune voci sommesse dissero: «sì sì sì.»
«Pace» riprese don Aurelio, «pace, o spirito di Piero Maironi, o spirito di Benedetto. Io non dirò le parole mie, le parole dell’amore, del dolore e della lode.