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PRELUDIO MISTICO 37

Vayla di Brea, della quale don Aurelio gli parlava nelle sue lettere come di una donna singolare per ingegno e nobiltà di animo. Tutto ritornò nel silenzio.

Ecco, dall’interno della villa, la voce di un piano; almeno pareva. Massimo aperse cautamente l’uscio, stette in ascolto. Sì, un piano, un cattivo strumento. Chi suonava? Il signor Marcello no; il signor Marcello era andato a letto. Il povero Andrea gli aveva parlato con ammirazione del talento pianistico della sua Lelia. Gli parve di conoscere il pezzo lamentoso e appassionato; ma poi vi si smarrì. Un momento era lo Stabat del Pergolese, un momento era altra cosa. Uscì pian piano nel corridoio, per udir meglio. Il suono veniva dal basso e da sinistra, certo dal salone, dove Massimo aveva veduto un piano. Che strano suonare, che potenza espressiva di tocco, che passione e che disordine!

Un’improvvisazione, senza dubbio. Quale anima di fuoco, l’improvvisatrice, se proprio fosse la signorina Lelia! Massimo si rivide in mente la piccola testa enigmatica dai capelli scomposti, dagli occhi raccolti in basso. Quella musica non diceva un’anima chiusa nel dolore, un’anima che nulla più attendesse dalla vita; diceva dolore, sì, ma sete, anche, di amore e di gioia. Una sosta della musica; passi e bisbigli vicini al corridoio dov’era Massimo, che si ritirò fino al suo uscio; musica daccapo. Accenti gravi e soavi di lamento, stavolta, e di preghiera. E passione, quindi, ancora passione tenera, ardente. Ah, Norma!

                    Vieni, dicea, concedi
                    C’io mi prostri ai piedi...

Dio, pareva una confessione, questa musica! Perchè quello che seguì non era più Norma, era fantasia. Dunque la suonatrice aveva voluto esprimere con le note divine un sentimento suo proprio. Ma come, ma perchè