Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/485


LA DAMA BIANCA DELLE ROSE 473

anche l’altro Piero, lo zio di questo, il signor ingegnere Ribera.

Dopo le cinque un telegramma di don Aurelio a Massimo confermò la sua prossima partenza da Milano insieme alla salma. Massimo lesse, consegnò il telegramma al parroco di Albogasio, si allontanò senza dir parola, prese una stradicciuola deserta lungo il lago, a sinistra del ponte di sbarco, vi camminò su e giù lentamente, senza saper formare un pensiero, per quasi tre ore, calando nell’ultima ora intorno a lui le ombre della sera, gradite.

Quando il treno atteso entrò in stazione, il buio era denso per l’accumularsi di nubi temporalesche nel cielo senza luna. La gente di Albogasio aveva invaso la stazione con torce e candele accese, preceduta dal parroco in cotta e stola. Discese don Aurelio, discesero gli amici romani di Massimo, gravi, silenziosi. Massimo tremava di un tremito nervoso, si mordeva il labbro per non rompere in singhiozzi. I saluti, brevi, misurati, risposero alla solennità del momento. Parecchi del popolo piangevano. Uomini di servizio, con lanterne alla mano, apersero il bagagliaio dov’era la salma. I giovani venuti da Roma e Massimo si fecero avanti. Seguì un po’ di confusione, uno scambio di voci vibrate. Don Aurelio impose silenzio con autorità, tutti si chetarono, fu vista la bara muovere verso l’uscita sulle spalle dei sei giovani, uno dei quali era Massimo. I pochi viaggiatori erano usciti prima. Solo una signora in lutto, accompagnata da una cameriera, seguì il corteo funebre sul piroscafo. Nessuno la conosceva, nessuno potè vederne, neppure al chiarore delle torce, il viso coperto da un velo fittissimo.

In silenzio, la bara fu posata a prora del piroscafo e coperta di un drappo nero colle frange di argento. In