Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/478

466 CAPITOLO DECIMOSETTIMO

che la messa parrocchiale, l’unica, si celebrava alle nove. Nè altre chiese di più comodo accesso erano nelle vicinanze. Vedeva bene che la cugina non era affatto in grado di andare a messa ma tuttavia non osò uscire senz’avvertirla. L’avvertì alle otto e mezzo. Donna Fedele fece chiamare Lelia.

«Vai a messa coll’Eufemia» diss’ella. «Io non ci posso andare, pur troppo. Ascoltala anche per me.»

Lelia espresse il desiderio di tenerle compagnia. L’inferma si oppose risolutamente: «no, cara; devi proprio andare». Soggiunse che, occorrendo, avrebbe pregato di tenerle compagnia la cugina Eufemia. Ma non occorreva. Siccome Lelia pareva esitare, le domandò sorridendo se per avere un piacere da lei fosse necessario di chiamarla Leila. La fanciulla non disse parola e se ne andò immediatamente colla Magis.

Donna Fedele soffriva. Doglie lancinanti avevano cominciato a torturarla durante il colloquio con Massimo, la torturavano ancora. Non erano sofferenze nuove, le conosceva da un pezzo; ma conobbe pure, questa volta, l’afflosciarsi di ogni energia resistente. Prese dal tavolino da notte il suo libro di preghiere, cercò di leggere quelle della messa. Non potè, fu costretta di abbandonare sulle coltri la mano aperta, così che il libro le scivolò a terra. Sudore abbondante le rigava la fronte e le guancie cadaveriche. Non le uscì di bocca un gemito. Poco prima che la cugina Eufemia e Lelia rientrassero dalla chiesa, le doglie si chetarono. Nel primo momento di relativo riposo ella disse udibilmente, parlando a sè stessa: «di qua, cara Fedele, non si parte più».

Trovò tuttavia, quando rientrarono, la forza di riceverle serenamente. Alle loro domande rispose che aveva avuto qualche doloruccio ma che ora si sentiva meglio. Chiese un bicchierino di marsala. La voce diceva spossatezza estrema. Lelia propose di far venire il medico.