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LA DAMA BIANCA DELLE ROSE | 451 |
«La giornata di ieri fu tale un sogno, Leila, che la Sua lettera d’oggi, dolce senza fine, mi ha dato piacere anche solo come prova della realtà di quelle ore divine. E nella realtà lo rividi, iersera, andando a Muzzaglio, il bosco dove un attimo ci bastò a cancellare tutte le amarezze, tutti dolori del passato. Non ne colsi foglia. Solo appoggiai la mano a un tronco tepido e mi arrestai perchè la dolcezza del ricordare mi soffocava. In quell’attimo delizioso Ella era ancora Lelia per me. Non offenda più con accuse la memoria di Lelia. Offenderebbe me. Non parli di bontà mia, meno ancora parli di grandezza. Non chiami pietà il sentimento ch’Ella m’ispirò al primo vederla, che nei suoi principii ho combattuto anch’io. Non dica più quella cosa orribile che non ha mai pensato, che io possa disprezzare la donna capace di un tale miracolo di amore e di umiltà. E io non dirò, alla mia volta, le colpe mie, il giudizio egoistico e presuntuoso che ho fatto di Lei. Io Le dirò soltanto che il mio amore per Leila mi riempie e mi commuove l’anima non più come la musica di «Aveu», ma come una grande voce d’organo, una grande musica solenne che faccia tremare e piangere e sognare cose eterne.
Cara, noi la cercheremo insieme, una fede. Ricordo le Sue antipatie per i miei maestri e le mie idee. Allora credetti che fossero solamente uno sfogo indiretto della Sua antipatia personale per me. Dubitavo che non conoscesse nè i miei maestri nè le mie idee. Ora comprendo le ragioni del Suo sentimento. Quel dubbio però, mi perdoni, resta. Le idee che mi furono tanto care, per le quali ho combattuto e sofferto, mi permetterebbero di adorare Iddio nei boschi di Dasio e nel burrone della cascata, in faccia alla punta di dolomia e in una camera nuziale. Mi farebbero accettare senza tortura dogmi incomprensibili e osservare senza tedio pratiche imposte.