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34 | CAPITOLO PRIMO |
Momi Camin, il padre di Lelia, oppure, ove Lelia non accettasse l’eredità, nelle mani di un suo giovine cugino in terzo grado, rovinatosi col giuoco e colle donne. Il pensiero che le camere di sua moglie e di suo figlio fossero un giorno abitate così, gli fu come una punta, nel cuore, di dolor sordo. Pensa e pensa, questa stessa molesta inquietudine, gli fece comprendere ch’era più attaccato alla vita, alle cose della Terra, di quanto avesse creduto poche ore prima. Se ne rimproverò, meditò le parole che il suo avo, edificatore della Montanina, scrisse sulla meridiana della villa: «terrestres horae, fugiens umbra.» Fece proposito di andarsi a confessare, l’indomani mattina, a Lago di Velo, e, preso il suo caro piccolo Kempis che si teneva sempre sul tavolino da notte, vi lesse con intensa compunzione il capitolo cinquantesimosecondo del Libro Terzo. Nel prendere lo spegnitoio pendente da una catenella della lucerna, pensò che suo padre era stato colto dalla morte prima di spegnere e rimase un momento colla mano sospesa in aria, senza saper perchè. Sorrise di sè stesso, spense, guardò un poco nel chiaror fosco della grande finestra il monte imminente, così pieno di quella indifferenza che riposa, si distese sotto le coltri e aspettò il sonno colle braccia incrociate sul petto, come un bambino.
IV.
Rientrato in camera, Massimo disfece buona parte delle sue valigie, mentre, nel primo malcontento di non poter venire ospitato da don Aurelio, si era proposto di levarne il puro necessario per la notte. Ora gli rimordeva di quel malumore egoistico, tanto lo aveva commosso l’affetto del signor Marcello, il gentile affetto presente anche lì, nella cameretta stata cara al povero