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NOTTE E FIAMME | 441 |
Lelia gli si attaccò al braccio, appassionatamente, lo rimproverò.
«Lei dovrebbe lasciarle dire ad altri, queste cose volgari!»
Appena proferite le parole audaci, ne arrossì, chiese perdono.
«Staremo qui, vero?»
Massimo le spiegò che non poteva esserne ancora sicuro. Era venuto in Valsolda coll’idea di concorrere alla condotta e l’aveva smessa perchè il concorso pareva dovesse riuscire una formalità, il nuovo medico essendo già designato. Ma ora questi si era ritirato dal concorso e cominciava qualche favore per lui, Massimo. Aveva quindi intenzione di presentarsi. Se non venisse eletto, non potrebbe rimanere. Sarebbe necessario cercare un’altra condotta.
«Domani» diss’egli «vado a visitare i sindaci.»
«Domani?» esclamò Lelia, quasi atterrita. «E non La vedrò, domani?»
«Forse mi vedrà, forse non mi vedrà. Ma Leila deve comprendere che insieme come oggi non potremo stare fino che non vengano risposte da Velo d’Astico.»
La fanciulla si rattristò, mormorò che temeva di non essere ancora tanto Leila. Massimo non intese, la pregò di ripetere.
«Forse non comprendo bene» diss’ella. «Obbedisco, però. Faccio tutto quello che Lei vuole.»
Avrebbe voluto prendere tutti i sentieri che salivano, non arrivare mai a San Mamette. Uscendo, presso il lavatoio di Drano, sulla stradicciuola selciata che conduce agli alti pascoli dei Rancò, vedendola entrare, a pochi passi, nel bosco, desiderò esplorarla.
Tutto, nel bosco, le era pretesto a indugiarsi: un macigno dei tanti enormi che emergevano nell’ombra, un gruppo di sottili acacie smarrite fra i castagni e i noci, un vecchio castagno