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NOTTE E FIAMME 435

A mio padre.

Ciò che ho fatto e che intendo fare ti parrà molto strano. Tuttavia confido nella tua piena approvazione. Ti domando fin d’ora quella libertà alla quale fra pochi mesi avrò diritto. Come ne userò non posso dirti ancora; ma questo ti posso dire e ti dico subito che delle mie rendite ti domanderò lo stretto necessario per vivere qui, sola, modestamente. Del resto non mi dovrai dare nessun conto. Per ora non mi occorre nulla. A suo tempo riscriverò. Saluti.

Lelia.


P.S. Se, date certe circostanze, fosse necessario che io ritornassi per qualche giorno, accetterei l’ospitalità, opportuna in quel caso, della Vayla di Brea.

Un flutto di gioia e di amore gli gonfiò il petto. Mise un lungo respiro di sollievo, di beatitudine. Nulla nulla, pensò, deve avere da suo padre! Come la sentiva sua ora, senza la ricchezza! Quanto avido era di stringersela sul cuore! Ma ella doveva riscrivere subito la lettera, dire che non avrebbe domandato nè accettato un centesimo. Gli era impossibile di tardare a dirle la sua gioia e questa precisa volontà. Precipitò dalle scale per correre da lei. Prima ancora di arrivare al fondo, riflettè. Sarebbe stato sconveniente di salire nella sua camera. Andò ad aspettarla in giardino. Aveva ricominciato a piovigginare. Non se ne curò, si pose a sedere sul parapetto dov’era stata seduta Lelia. A un tratto gli balenò che Lelia avesse espressamente taciuto, nella sua lettera, di lui. Nemmanco vi aveva apposta la data, mentr’egli invece, con quell’incarico a donna Fedele, scopriva ogni cosa. Sarebbe forse necessario mandare un telegramma a donna Fedele, sospendere. O non era meglio, piuttosto, che Lelia dicesse chiaro a suo padre come stessero le cose?