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NOTTE E FIAMME 433

ricchezza. Lo si poteva sospettare di avere attirata Lelia in Valsolda per imporsi quindi a suo padre come marito. N’era inorridito a segno da chiedersi se piuttosto che soggiacere a un tale sospetto non fosse da sacrificare la felicità. Ora si proponeva di parlarne a Lelia, ora lo atterriva l’idea che, nel suo ardore di passione ella non lo comprendesse, gli facesse rimprovero di amar poco, di non saper affrontare anche il disprezzo del mondo come lo aveva affrontato ella stessa. E si torceva le mani, straziato da questo terrore, per dirsi poi ch’era un terrore vano, che quel sospetto orribile non verrebbe a nessuno, che, se venisse, Lelia saprebbe dissiparlo. Arrivò all’albergo tutto molle di sudore e tuttavia pallido come un cadavere. Udito che Lelia non era discesa, salì nella propria camera. Si venne tosto ad avvertirlo che la signorina era in giardino e aveva domandato di lui. Palpitò di rinnovata emozione, dimenticò i pensieri torbidi e raggiunse Lelia in fondo al giardino, presso l’abete e il bacino dove mormora uno zampillo. Il giardino è una lista rettangolare di terreno piano, lunga e stretta, fronteggiata a tramontana, in parte, dall’ala nuova dell’albergo, sorretta a mezzogiorno dal muraglione del sagrato. Dove l’ala nuova finisce, la lista si allarga in un orticello, si scoprono casucce del villaggio cui si abbrancano festoni di viti, e sopra le casucce, piuttosto materna che minacciosa, una rupe colossale. Là in fondo è l’abete, è il bacino collo zampillo. Il sagrato, poco più basso del giardino che lo domina, porta su la chiesa a levargli parte della veduta di mezzogiorno, fra la valle digradante a ponente verso il lago di cui riluce uno specchio verde, e le pendici, a levante, dove i castagneti di Drano e i pascoli dei Rancò salgono ripidi alle tragiche balze che fanno angolo, al Passo Stretto, con quelle imminenti a Dasio. Fra il viale mediano e il parapetto di mezzo-

FOGAZZARO. Leila. 23