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NOTTE E FIAMME 427

soffrire accesero negli occhi di Lelia la solita fiamma, oscura della divina oscurità che eccede la luce. La fiamma si spense mentr’ella disse:

«Mi conduca dove ha cominciato a pensare a me.»

Egli suggerì, pregando: «conducimi.» Lelia lo guardò a lungo prima di rispondere: «ancora non posso.»

Massimo sentì perchè non poteva. Glielo lesse negli occhi parlanti. Troppo era ancora vivo in quell’anima il rimorso della ingiustizia crudele.

«Sei tu» diss’egli, nella sua sete di oblìo del Passato dentro il dolce Presente «che devi perdonare a me.»

Voleva spiegare le parole strane, dire quanto gli rimordesse di averla giudicata indegna. Ma il Passato ribollì così forte nelle due anime che nè Lelia nè Massimo seppero aprir bocca, l’una per protestare, l’altro per spiegarsi. Camminarono in silenzio, senza neppure guardarsi, fino agli aperti pascoli di San Rocco, fino al primo rombo del fiume profondo.

«Ecco» disse Massimo.

Lelia chiuse gli occhi perchè il paese troppo diverso le impediva di trovare nella voce profonda i ricordi del Posina. Ora non vedeva il paese, sentiva altezza e deserto nell’aria odorata dei pascoli magri, sassosi, viva dei suoni dispersi dei campani. Non le tornò in mente la Montanina ma la costa selvaggia dei rododendri, dov’era stata vinta.

Sfinita dall’emozione e dalla stanchezza, impallidì subitamente, accennò che desiderava riposare. Ansioso, quasi atterrito, egli l’adagiò sull’erba, le prese, le accarezzò le mani. Scossa la persona da tremiti, scomposta da moti convulsi anche il viso, piegando talora il capo come se mancasse, ella lo guardava, lo guardava. Lievi lumi di dolcezza e fiamme oscure le si alternavano negli occhi.