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420 CAPITOLO DECIMOSESTO

che il signor dottore era stato chiamato a Muzzaglio due ore prima. Partendo aveva lasciato detto che sarebbe stato di ritorno alle dieci. Ora stavano per suonare le nove. Se la signorina desiderasse di andargli incontro non poteva sbagliare. Doveva prendere per il Pian di Nava e San Rocco.

«Ella può fermarsi al Pian di Nava, un quarto d’ora da qui; neppure! Di lì passa certo.»

Detto ciò, la giovine cercò insegnare la via del Pian di Nava al ragazzo, che non la sapeva. Perchè quegli durava fatica a capire, si offerse per guida, accompagnò Lelia, salendo attraverso il povero ma pulito villaggio, fino al lavatoio pubblico, la mise sul viottolo che di là volge verso ponente.

«Questo è il sentiero» disse. «In cinque minuti Ella è al Pian di Nava.»

Lelia pagò il ragazzo, lo congedò e si avviò sola. Dove il sentiero, oltrepassato il Camposanto e il valloncello della Terra Morta, monta nel cavo prato che grandi castagni ombreggiano lungo il labbro di mezzogiorno, lo lasciò, prese a sinistra, per l’erba, verso uno dei primi castagni. Di là poteva scorgere tutto il giro del sentiero, che rigando il prato andava a perdersi in un bosco. Sedette a terra e attese, con gli occhi al bosco.



III.



Quella mattina Massimo si alzò all’alba. Non aveva quasi dormito. Il giorno prima era stato a Lugano per noleggiare il piroscafo che avrebbe trasportato la salma di Benedetto da Porto Ceresio a Oria. Ora, compiuta anche questa pratica, nell’imminenza di prender parte alla funebre cerimonia, egli soffriva indicibili tormenti. La memoria di Maironi gli era sempre sacra e cara,