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NOTTE E FIAMME 413

a un punto impetuose. Ella si alzò dal suo sedile della prima classe, andò a prora. Sola e ferma allo scoperto sotto la fine pioggia, guardava dritto davanti a sè, palpitante, contenta, sicura. A Gandria cessò di piovere. Il lago, a fronte del battello, nereggiò di tivanoviolento, il nebbione ascese gli umidi fianchi delle montagne. La fronte della Galbiga, la fronte del Bisgnago, la fronte delle dolomiti di Valsolda si svelarono nel cielo, grandi. E lontano lontano si svelò grigio, fumante di nuvoli, il Legnone enorme.

Tosto il battello entrò nel vento. Il velo e le vesti di Lelia le battevano indietro come drappi di bandiera. Ella non si mosse. Il vento, il lago nero, le nere montagne selvagge le inebbriavano l’anima. Il vento le fischiava intorno: «sei qui?». Le montagne di destra e di sinistra pensavano silenziose: «è qui». In faccia, le guglie e le creste di dolomia le mostravano, tragicamente mute, la loro passione di pietra come s’ella sola potesse intenderle, nella sua passione di fuoco.

«Signora» le disse il bigliettario «adesso la prima stazione è San Mamette.»

Ella si sentì subito fredda e forte. Fermatosi il battello allo sbarco, ne uscì con passo fermo. Alcuni contadini uscirono con lei. Nè sul pontile nè in piazza si vedevano persone, causa il mal tempo. L’uomo di servizio al pontile le indicò l’albergo Valsolda, a due passi dallo sbarco. Ella entrò nel piccolo ingresso, scuro e vuoto, vi si fermò, non udendo nè vedendo alcun segno di vita, non sapendo se salire o non salire la scala. Finalmente qualcuno discese, e vedutala, risalì, certamente per avvertire l’albergatore che discese alla sua volta.

«Desidera?» diss’egli.

«Una stanza» rispose Lelia con voce malferma. In quei pochi momenti d’indugio nell’ingresso, il silenzio del luogo ignoto le era parso ostile. Aveva sentita ostile