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O MI POVR'OM! 401

che ha una punta di spino in gola torna lì, sempre lì, anche se la sua ragione gli dice che non corre alcun pericolo e che sarebbe meglio pensare ad altro. Ella si crucciava sopra tutto per il viaggio dell’indomani, non sapendo se le convenisse affrettare la partenza da Milano per arrivare sicuramente alla meta o ritardarla e riposare per arrivarci in condizioni migliori. Passato Treviglio, l’idea che presto avrebbe riveduto don Aurelio la venne più e più riconfortando. Averlo compagno di viaggio fino alla meta, pronto sempre ad assisterla spiritualmente con i suoi poteri sacerdotali sarebbe stato un paradiso, per lei. Ma non sarebbe convenuto per un altro verso. Per avere quelle due anime nelle sue mani era necessario che la vedessero arrivare soletta, quasi morente.


IV.


Don Aurelio l’aspettava all’uscita della stazione. Ella gli sorrise del suo sorriso dolcissimo. Quel sorriso gli accrebbe la pena del vederla mortalmente pallida, sfigurata, quasi, anche nella persona. Egli avrebbe desiderato accomiatarsi subito dopo averle detto che le camere erano pronte, perchè gli dispiaceva di rincasare troppo tardi. Ella volle assolutamente ch’egli venisse al Terminus, lo trattenne nel salottino deserto, semibuio, dell’albergo. Gli raccontò tutto fuorchè la gravità del proprio stato e la sentenza del medico. Perciò don Aurelio potè crederla in grado di proseguire il viaggio l’indomani. Le consigliò la via di Porto Ceresio. Si dolse della follìa di Lelia; non era però inquieto circa la condotta che avrebbe tenuto Massimo. Ella se ne meravigliò un poco. Passione, solitudine, indebolimento di freni religiosi, tutto, secondo lei, favoriva gl’istinti. Ella co-