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O MI POVR'OM! | 397 |
prime, per certe apparenze, ma poi si era messa in testa che la signorina avesse simulate quelle apparenze, che fosse andata «a precipitarsi». Era stata un’altra volta sull’orlo del precipizio! Partita Teresina, la cugina Eufemia riferì le sue supposizioni a donna Fedele. Questa non disse parola, scrisse a Teresina così:
«Cara Teresina,
Mi duole non averla veduta. La sventura ch’ella teme non è da temere. Ho in proposito una promessa solenne di Lelia. Saluti affettuosi.
Sua
F. V. di B.»
Scrisse un altro biglietto per l’ammalato di Seghe, da fargli avere con alcuni libri di lettura amena e con una sua fotografia, promessagli da tempo. Un terzo ne scrisse alla scolaretta di francese, per annunciarle che le lezioni erano interrotte e per darle un compito, questo tema di composizione: «La mort de la cigale.»
Si sentiva relativamente bene. Comprendendo che il miglioramento le veniva dalla soddisfazione morale, temette di compiacersi orgogliosamente del proprio sacrificio, si disse che, offrendo la vita, offriva realmente una cosa senza valore, una cosa che non le apparteneva quasi più, un lume in procinto di spegnersi. Poco prima di lasciare il villino ebbe un momento di debolezza. Seduta nella veranda, indicava al custode armato di forbici, una dopo l’altra, le poche rose che porgevano ancora qua e là dal verde, malinconicamente, la loro bellezza non ignara del tempo e del diradato riso. Voleva portarle con sè. Ad ogni cader di una rosa nel piccolo canestro, lo spirito dolce e triste che le aveva mosso quel desiderio le entrava più e più addentro nell’anima. Era l’idea di un simile cadere imminente della propria giornata, era pietà delle rose e di sè stessa, era