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O MI POVR'OM! | 391 |
in tutto il giorno dalla poltrona. Soffriva, ma in pace. Si credeva prossima alla fine. Aveva risoluto di farsi operare perchè, giunte le cose a quel punto, dubitava di esservi obbligata in coscienza e il solo dubbio era bastato a deciderla. Prevedeva che l’operazione, fatta da Carle, riuscirebbe e che poi, molto presto, verrebbe la fine. Si sentiva troppo disfatta per poter vivere ancora dei mesi. Era contenta di soffrire, di espiare così molti peccati di pensiero della sua giovinezza: peccati di amore, peccati di orgoglio, nati, vissuti e morti nel fondo della sua mente, sussurrati nell’ombra del confessionale, non interamente detersi dall’anima afflitta. Era contenta di soffrire e anche di sapere che presto non avrebbe sofferto più. Aveva ricevuto, la mattina, una buona lettera di don Aurelio. Egli le scriveva che si sarebbe recato in Valsolda nella prossima occasione del trasporto della salma del povero Piero Maironi da Roma a Oria. Era disposto di trattenersi alcuni giorni presso Massimo, confidava di guarirlo, coll’aiuto di Dio, da una depressione di spirito che gl’intorbidava anche l’intelletto. Ell’aveva immediatamente risposto al venerato amico, informandolo dell’ultima lettera di Alberti, parlandogli anche di Lelia che, secondo lei, amava e lottava, per orgoglio, contro l’amore, che, probabilmente, avrebbe finito col cedere alla passione. Pur troppo Lelia non avrebbe portato ad Alberti, coll’amore, un aiuto spirituale. Quanto a fede, a sentimento religioso, quell’anima era fatta un deserto. Donna Fedele esprimeva la convinzione che Iddio riserbasse a don Aurelio il compito di riedificarvi Cristo e la Chiesa.
Annunciava quindi il suo prossimo viaggio a Torino, e, vagamente, lo scopo del viaggio. Avrebbe telegrafato l’ora del suo passaggio da Milano, nella speranza di salutar l’amico alla stazione. Chiudeva la lettera celiando su certo vecchio scialle ritinto che avrebbe portato in