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O MI POVR'OM! 389


I minuti passavano e Lelia non ritornava. La siora Bettina, non potendo più stare alle mosse, ne andò in cerca. Nell’atrio della stazione, attiguo al caffè, non c’era. Le parve intravvederla fra la gente che faceva ressa agli sportelli dei biglietti. Non era lei. Vide e riconobbe il facchino che aveva portato i loro bagagli al deposito. Gli domandò se avesse veduta la sua compagna. Il facchino rispose di sì. Anzi le aveva portato egli il bagaglio al treno e l’aveva collocata bene.

«Ma no!» replicò la Fantuzzo, impaziente. «La mia compagna non è mica partita, è qui!»

Il facchino insistette:

«Non signora. Le dico ch’è partita. Cinque minuti fa, col treno di Milano.»

Perchè la siora Bettina protestava ch’egli era in errore, le domandò, alquanto risentito, se la sua compagna non avesse una spolverina cenere con bottoni blu, grandi, un cappello blu con un velo cenere, dei guanti cenere, un ombrellino blu col manico d’oro. Sì, aveva tutto questo. Ebbene, la signora era uscita dal caffè, aveva messo una lettera nella cassetta postale, era andata con lui a ritirare il suo bagaglio dal deposito, aveva preso il biglietto, si era fatta portare il bagaglio nella terza classe benchè avesse un biglietto di prima e, appena arrivato il diretto da Padova, aveva presa la corsa, v’era saltata dentro come un gatto. Il facchino le aveva chiesto nella sala d’aspetto se l’altra signora non viaggiasse con lei. La risposta era stata che l’altra signora andava a Padova.

La disgraziata siora Bettina sentì che le venivano meno la vista e le gambe. Se il facchino non l’avesse sostenuta, cadeva. Subito le furono attorno quattro o cinque persone, la portarono, più che non l’accompagnassero, al caffè, volevano farle inghiottire del marsala ch’ella rifiutò con tutta la poca energia di cui era ancora ca-