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388 CAPITOLO DECIMOQUINTO

«Signorina» diss’ella, tremando «non mi sento tanto bene. Se facessimo un piccolo cambiamento? Se invece di andare a Castelletto, si andasse solamente a Padova, ora? Se si facesse una visita al Santo? Se più tardi mi sentissi meglio, non si potrebbe arrivare ancora questa sera a Castelletto?»

Lelia, sorpresa, esitò a rispondere. Poi prese tempo. Avrebbe consultato l’orario. Studiò silenziosamente l’orario al caffè della stazione. Trovò, e gliene lucevano gli occhi di contentezza, che partendo da Padova alle quattordici e cinquantadue era possibile di arrivare a Castelletto alle diciannove e cinquantacinque. Erano allora le dieci e mezzo. Il treno per Padova partiva alle undici e otto minuti. Il cameriere del caffè portò i due caffè e latte ordinati. Lelia prese il suo, lasciò passare altri cinque minuti e poi disse che usciva per mettere una lettera nella cassetta postale e per comperare delle cartoline illustrate. Offerse anche di prendere i due biglietti per Padova. La siora Bettina accettò e voleva darle subito il danaro.

«Faremo i conti dopo» disse Lelia, alzandosi. E soggiunse, nell’avviarsi:

«Seconda classe?»

«Seconda seconda» rispose piano la Fantuzzo con un blando, umile sorriso. Quella uscì. Dopo dieci minuti Lelia non era ancora ritornata.

Qualcuno gridò nel caffè:

«Verona, Brescia, Milano!»

La siora Bettina mostrò tanta inquietudine che il cameriere del caffè, preso il vassoio e strofinato il tavolino, le domandò se dovesse partire.

«Sicuro!»

«Per dove, signora?»

«Per Padova.»

«Oh per Padova c’è tempo. Altri venti minuti, signora.»