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28 | CAPITOLO PRIMO |
«Ci tiene svegliati tutti!»
Le sovvenne allora che nel primo tempo della sua dimora in casa Trento le era avvenuto di dire al signor Marcello le stesse parole, non sapeva più a quale proposito, collo stesso accento esprimente una necessità cui è forza piegare. Il signor Marcello se n’era divertito, ma poi, avendogli ella detto distrattamente che quella inflessione di voce piaceva molto al povero Andrea, si era oscurato in silenzio. Adesso, appena pronunciate le parole «ci tiene svegliati tutti!» le risalì alla memoria quel silenzio scuro, credette leggere in viso al signor Marcello ch’egli pure ricordasse e abbassò gli occhi, confusa. Marcello la guardò fiso, teneramente, posò le mani sulla tastiera, accennò, sempre guardando lei, la melodia di Schumann che il povero Andrea era solito canterellare, che Lelia gli suonava qualche volta all’oscuro, senza parlarne nè prima nè poi:
Almen ch’io mora sognando
Che stretta al suo petto sto...
Lelia trasalì. Le parve che il signor Marcello le dicesse colle note dolcissime: parlami pure di lui. Egli tolse gli occhi da lei, li alzò come se cercasse le note nella memoria, mentre le grandi mani ossute dicevano con subita passione:
In estasi spasimando
Contenta allor morrò.
Ella ne trepidò, gli posò dolcemente una mano sulla spalla, mormorò piano piano:
«Basta, papà! Lei si commove troppo. È tardi. Vada a letto.»
Marcello smise di suonare, prese la mano che si veniva ritraendo dalla sua spalla, la tenne affettuosamente fra le proprie, gelate.